Minacce a giornalisti che fanno il proprio dovere. In Sicilia sono sempre di attualità e ultimamente sono costate l’arresto al siracusano Francesco De Carolis, autore di un messaggio vocale inequivoco e violento nei confronti del cronista Paolo Borrometi, già da tempo sotto scorta per aver denunciato gli affari e i nomi della mafia siracusana.
Ma, ripeto, l’episodio è l’ultimo di una lunga schiera, nel tentativo di imbavagliare quei pochi che, ogni tanto, preferiscono non voltarsi dall’altra parte di fronte a un abuso, a un sopruso; allo stupro dei diritti in una terra che lotta per togliersi di dosso l’olezzo della mafia.
Dietro le minacce ai giornalisti siciliani c’è un mix tra odio e paura; odio per chi vuole mettere in piazza affari e vergogne, paura di perdere il rispetto di quella parte del popolo che ha supinamente tollerato e obbedito. La svolta, alla fine della fiera, non la fa un giornalista che racconta ma un popolo che lo difende. Perché, implicitamente, difende se stesso.
Muore Totò Riina; muore un simbolo del male, della paura e della barbarie come regola di dominio; un simbolo dell’epoca buia delle stragi. Come prevedibile, in molti hanno tirato un sospiro di sollievo: lo hanno fatto pubblicamente, chi in maniera più colorita, chi con frasi ad effetto.
Nell’epoca del diritto di parola incontrollato, ovviamente, non è mancato l’esercito dei sostenitori del boss: degli addolorati, degli pseudo mafiosi convinti e dei disturbatori. Francamente, siamo abituati a leggere anche questo su internet e non ci stupiamo quasi più quando qualcuno a parole esalta la memoria di un mafioso, contestando il mondo di diritto a cui per una vita quel personaggio oscuro si è opposto.
Mi lascia però perplesso che il messaggio di odio che sgorga dal ricordo di Riina possa essere preso seriamente ad esempio da qualcuno; che possa elevarsi a moda, a simbolo. Perché a chi ha insanguinato l’Italia per decenni non può e non deve essere concesso il ruolo dell’eroe. Quello che resta di un mafioso è l’odore acre del sangue e del tritolo. L’incenso spetta alle vittime, di mafia e di antimafia.
Siamo stati abituati negli anni a confrontarci con le ideologie più disparate; con gli eccessi, con i controsensi. Mai però avrei potuto pensare di dover riflettere sulla storia di un esponente del mondo gay, offeso e minacciato su facebook da altri omosessuali per via del suo orientamento politico.
Avete capito bene: per una parte del mondo gay non esiste che un solo colore politico. Se qualcuno, come ha fatto Sandro Mangano, ex presidente nazionale dell’associazione GayLib, professa di essere simpatizzante della destra, sostenitore di Nello Musumeci e fervente cattolico, si scatena il putiferio. E così via agli insulti, alle bestemmie, alle minacce.
Evidentemente la tanto professata libertà di pensiero, che è uno slogan costante nella lotta omosessuale, si arresta di fronte a un pensiero diverso. Le vittime diventano carnefici, dimostrando il volto di un razzismo imbarazzante, spietato, controproducente. E di questo teatrino c’è ben poco da essere orgogliosi