Violenza a Catania, atto III. L’aggressore ha il volto della persona rispettabile: veste elegante e ha un gancio micidiale. Lo ha sperimentato sulla sua faccia, ma sarebbe stato meglio di no, il sindaco Enzo Bianco, che si è ritrovato sul set di Fight Club una mattina qualsiasi di un giorno qualsiasi nel centralissimo Corso delle Province.
Non si sa ancora cosa abbia determinato l’ira funesta dell’aggressore incravattato; sta di fatto però che l’uomo è stato prontamente arrestato. Magari si convertirà sulla via di Piazza Lanza e chiederà scusa al sindaco, intraprendendo un percorso di fede.
Ma al di là della facile ironia l’angoscia cresce. Quando parliamo di “deriva” di violenza, questo è l’ennesimo caso concreto. Concreto, forse eclatante, ma non meno importante delle decine di aggressioni subite in queste settimane da comuni mortali senza pedigree politico e istituzionale. I “pinco pallino” di una città allo sbando che chiedono da tempo maggiore sicurezza in città; che chiedono risposte e hanno paura. La stessa che il sindaco di Catania ha sperimentato oggi, mettendoci la faccia.
Twitter: @aspitaleri
Diciamo la verità: non era necessario un articolo del Sole 24 ore, che colloca Catania al primo posto tra le città siciliane più pericolose (21esima in Italia), per capire che qualcosa non va. Ce ne rendiamo conto facilmente, e non solo quando leggiamo i titoloni sui giornali locali. Qualcosa è cambiato: è peggiorato.
Probabilmente la crisi ha spazzato anche quel briciolo di buon senso che faceva da auto-argine alle azioni incontrollate della piccola e media criminalità. Adesso sembra che in pochi si preoccupino di minacciare, aggredire e picchiare persone innocenti anche per pochi spiccioli. Adesso, girando in città, si percepisce forte e chiara la paura di adolescenti costretti a camminare in gruppo per non subire il furto del telefonino, e di contro la spavalderia disgustosa di chi usa la violenza gratuita come sport.
Potremmo prendercela allora con le Istituzioni; con le forze dell’ordine assenti o con la macchina della giustizia che fa acqua da tutte le parti. Forse in parte è vero: il prodotto del disastro che ci sta inghiottendo è frutto di tante responsabilità. E non è detto che in mezzo non ce ne sia anche qualcuna nostra.
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A Catania siamo tutti eroi. Sprezzanti e autoritari su Facebook; paladini della giustizia sui blog; indignati e sdegnati moralizzatori quando in tv sentiamo che tizio ha picchiato caio; che le baby gang assatanate ammorbano la tranquillità del sabato sera; che non si può più girare soli perché "nella migliore delle ipotesi rischi un knockout game o di tornare alleggerito di soldi e cellulare".
Forse è davvero così, ma la realtà mostra un amarissimo risvolto della medaglia. L'ultimo episodio risale a pochi giorni fa; ancora non noto alla stampa. In un affollato ospedale catanese, venerdì scorso, due dipendenti (marito e moglie sessantenni) sono stati picchiati selvaggiamente da un branco di energumeni che li hanno prima speronati in auto e poi aggrediti a calci e pugni perché "colpevoli" di ostacolare l'ingresso della loro auto al pronto soccorso dal momento che il loro bambino "stava male". A una scena tanto disgustosa quanto reale - ci sono le immagini di sorveglianza a comprovare i fatti - hanno assistito, senza battere ciglio, non solo i tanti pazienti della struttura ma anche (e soprattutto) i vigilantes pagati dall’azienda per scongiurare barbarie simili. Interpellati dai familiari dei dipendenti aggrediti, questi intrepidi condottieri armati di tutto ma non di coraggio si sono limitati a dire che "non hanno visto nulla".
Nessuno a Catania vede nulla, anche quando gli capita sotto il naso; anche quando il proprio compito sarebbe quello di intervenire; anche quando c’è in gioco la propria dignità. Non siamo tenuti ad essere eroi, sia chiaro, ma almeno non apriamo la bocca a sproposito. Lasciamolo fare ai bambini, almeno fino a quando impareranno che i grandi non sono superman o spiderman. Almeno fino a quando non capiranno di vivere nel regno dei quaquaraquà.
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