Muore Totò Riina; muore un simbolo del male, della paura e della barbarie come regola di dominio; un simbolo dell’epoca buia delle stragi. Come prevedibile, in molti hanno tirato un sospiro di sollievo: lo hanno fatto pubblicamente, chi in maniera più colorita, chi con frasi ad effetto.
Nell’epoca del diritto di parola incontrollato, ovviamente, non è mancato l’esercito dei sostenitori del boss: degli addolorati, degli pseudo mafiosi convinti e dei disturbatori. Francamente, siamo abituati a leggere anche questo su internet e non ci stupiamo quasi più quando qualcuno a parole esalta la memoria di un mafioso, contestando il mondo di diritto a cui per una vita quel personaggio oscuro si è opposto.
Mi lascia però perplesso che il messaggio di odio che sgorga dal ricordo di Riina possa essere preso seriamente ad esempio da qualcuno; che possa elevarsi a moda, a simbolo. Perché a chi ha insanguinato l’Italia per decenni non può e non deve essere concesso il ruolo dell’eroe. Quello che resta di un mafioso è l’odore acre del sangue e del tritolo. L’incenso spetta alle vittime, di mafia e di antimafia.
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