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Da una recente inchiesta dell’Unione degli Universitari emergono dati sconfortanti circa il costo delle rette degli Atenei in Italia. Si parla di un aumento del 61% della pressione fiscale universitaria dal 2009 ad oggi e francamente, al netto della crisi globale, il dato sembra veramente esagerato. Come spesso accade, escludendo le poche borse di studio a disposizione e i redditi minimi, sono le famiglie medie a risentire del salasso.

Colpa, da un lato, delle minori erogazioni di fondi pubblici e dall’altro dell’incapacità di offrire adeguate soluzioni ‘collaterali’ agli universitari italiani, che ben poco sanno – soprattutto perché ben pochi Atenei hanno stipulato apposite convenzioni – dei prestiti d’onore, da scomputare dopo l’ottenimento del titolo di studio e a patto di raggiungere annualmente determinati obiettivi. L’Italia, insomma, rimane stritolata dalla propria arretratezza, se non culturale di certo gestionale.

Le Università continuano a ragionare in modo antico, con carrozzoni molto spesso poco tecnologizzati e al contempo costosissimi. Tutto, o quasi, sulle spalle delle famiglie medie, dei loro stipendi bassi e la soglia di sopportazione fin troppo alta.



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Nell’epoca dell’apparenza a tutti i costi non ci stupiamo più quando notiamo la ressa alle bancarelle di capi griffati contraffatti, orologi tarocchi e similari. Ammetto invece di aver provato stupore nell’apprendere che un imprenditore siciliano di 52 anni aveva realizzato nientemeno che una finta Ferrari partendo dal telaio di un’auto sportiva giapponese.

E così, se una parte della carrozzeria era rimasta quella di fabbrica, al contrario ruote, loghi, freni e altri accessori erano stati invece acquistati proprio dalla casa di Maranello. Il trucco è stato notato dai finanzieri che hanno sequestrato l’auto e denunciato l’imprenditore per l’utilizzo di marchi di fabbrica registrati. L’episodio è curioso senza dubbio, e sulla legge non si discute.

Ma mi permetto, scherzosamente, una semplice considerazione: gli stemmi Ferrari li ho visti decorare fiat punto, uno turbo, camion delle consegne e persino l’ape cross del fruttivendolo ambulante sotto casa mia. Chi li esibisce per vezzo, chi per culto, chi per moda. Il logo Ferrari, fatevene una ragione, è come il titolo di ‘dottore’ elargito dai posteggiatori abusivi. Non si nega a nessuno.



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Se pensate che le elezioni siano stressanti, sfiancanti, chiassose e violente, allora vi consoli sapere che per i giornalisti è tutto molto più accentuato. La persecuzione inizia fin dalle prime ore del mattino con le mail più disparate da parte di qualsiasi candidato; dai più noti duellanti all’ultimo degli aspiranti politici locali.

È una guerra a suon di slogan, di attacchi, di promesse. E poi ci sono le chiamate; le richieste di intervista; i pressing per gli articoli da pubblicare. Gran parte di questa guerra mediatica è frutto del lavoro degli operatori della comunicazione che a volte, bisogna dirlo, esagerano un tantino, finendo per essere ‘dirottati’ nel cestino o nella posta indesiderata.

Questo editoriale prendetelo un po’ come uno sfogo personale; come un urlo liberatorio dall’ultimo piano di un grattacielo. Per fortuna tra due settimane sarà tutto finito: nessun viso sorridente vi guarderà dall’alto dei cartelloni 6X3 e nessun santino elettorale rimbalzerà tra le finestre della messaggistica istantanea dei vostri cellulari. Finita la commedia inizierà il banchetto. E state certi che lì, né io né voi saremo invitati.



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