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Se pensate che le elezioni siano stressanti, sfiancanti, chiassose e violente, allora vi consoli sapere che per i giornalisti è tutto molto più accentuato. La persecuzione inizia fin dalle prime ore del mattino con le mail più disparate da parte di qualsiasi candidato; dai più noti duellanti all’ultimo degli aspiranti politici locali.

È una guerra a suon di slogan, di attacchi, di promesse. E poi ci sono le chiamate; le richieste di intervista; i pressing per gli articoli da pubblicare. Gran parte di questa guerra mediatica è frutto del lavoro degli operatori della comunicazione che a volte, bisogna dirlo, esagerano un tantino, finendo per essere ‘dirottati’ nel cestino o nella posta indesiderata.

Questo editoriale prendetelo un po’ come uno sfogo personale; come un urlo liberatorio dall’ultimo piano di un grattacielo. Per fortuna tra due settimane sarà tutto finito: nessun viso sorridente vi guarderà dall’alto dei cartelloni 6X3 e nessun santino elettorale rimbalzerà tra le finestre della messaggistica istantanea dei vostri cellulari. Finita la commedia inizierà il banchetto. E state certi che lì, né io né voi saremo invitati.



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