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“sfoghi“

Capita a volte di rimanere turbati dalla crudeltà di certi sfoghi. Quello che ho ricevuto qualche giorno fa comincia così: "Caro Direttore, mi chiamo Pietro e mi vergogno molto a scriverle questa mail. Purtroppo la mia impresa è fallita dopo tanti anni passione; sono stato costretto a rivoluzionare il mio stile di vita, e con me mio figlio. Mio figlio è un diciottenne che lavora. Ha dimenticato la spensieratezza per dedicarsi a ogni genere di lavoretto: cameriere, cuoco, addetto alle pulizie. Viene sfruttato per pochi euro l'ora ma purtroppo non possiamo fare a meno di quei soldi, e io non so più se voglio andare avanti. Non chiedo soldi ma solo un abbraccio. Chiedo comprensione, perché là fuori nessuno me ne ha mostrata".

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Uno studente di 12 anni viene rimproverato dal professore durante l’ora di lezione. Lui chiama i genitori che, senza colpo ferire, irrompono a scuola e mandano all’ospedale il docente con due costole rotte e 10 giorni di prognosi.

È successo ad Avola, nel Siracusano, pochi giorni fa. È cronaca recente ma anche cartolina di una deriva culturale imperante. Raccontare storie simili mi mette tristezza: non soltanto perché prendevo bacchettate sulle mani fin dai tempi delle scuole elementari, ma perché riconosco che nel 99% dei casi quelle bacchettate erano dovute. Ora, certi genitori, prima ancora di informarsi sui fatti scendono in campo con i guanti da boxe a comportarsi da delinquenti per difendere la “famigghia”.

Non ci lamentiamo, dunque, del propagarsi del bullismo se i primi bulli sono quelli che dovrebbero educare i figli. E non ci aspettiamo niente di buono dalle generazioni ingozzate a suon di accondiscendenze e squadrismi. Forse ancora non è troppo tardi per salvare qualcosa. Certi genitori maneschi, ad esempio, potrebbero chiedere scusa e salvare la faccia.



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In questo lungo anno, il terzo da quando ho l’onore di dirigere questa radio, abbiamo raccontato tanto. Vi abbiamo parlato di cronaca, di politica, vi abbiamo raccontato fatti e misfatti e abbiamo scontentato certamente qualcuno. Ce ne faremo una ragione.

In particolare, grazie all’editoriale, ho potuto esprimere – mettendoci la voce – il mio parere senza filtri e senza condizionamenti. Roba rara, e credetemi perché faccio questo lavoro dai tempi della lira. Ma non parliamo di me, parliamo di noi. Col 2018 alle porte siamo pieni di aspettative. Ci aspettiamo molto dalla politica, soprattutto quella regionale. Ci aspettiamo che il Governo Musumeci dia slancio alla Sicilia e ai siciliani ma non agli stipendi stellari dei burocrati; ci aspettiamo che vengano valorizzati i giovani con un lavoro e un salario dignitoso e che la lotta alla fuga dei cervelli non sia solo uno slogan da riciclare in campagna elettorale come le sciarpe a Natale.

Ci aspettiamo che si smetta di strumentalizzare la parola antimafia e si cominci a praticare la legalità, senza pretendere che arrivino le medaglie. Mi aspetto, ma più che altro lo spero, che chi possiede potere e cultura non sfrutti l’ignoranza e la fame. Mi guardo allo specchio e mi accorgo che c’è tanto da fare. E allora vi auguro un 2018 in cui costruire qualcosa. Magari costruiamolo insieme. Ci vediamo l’anno prossimo.



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