“La cosa peggiore è che ho avuto un ictus: dovevo proprio non sbattere la testa, e i pugni maggiori li ho ricevuti in testa. Per questo sono incazzato, perché (gli aggressori, ndr) non conoscono le condizioni delle persone. Mirare alla testa significa volutamente mirare a fare male a una persona”. A parlare è un uomo di 45 anni, Roberto, la cui colpa è quella di essere omosessuale. Una colpa molto grave nel ridente Comune di Mascali (siamo in provincia di Catania), se è vero che 24 ore fa è stato avvicinato da un branco di ragazzi in un bar; massacrato di botte e ferito con una lama che gli è arrivata al cranio.
Una famiglia ha appena iniziato a piangere il massacro di una ragazza ventenne, sventrata dalle coltellate e abbandonata dentro un’auto nel cuore della notte. Un’altra famiglia, a pochi chilometri di distanza, lotta contro il disonore di un figlio omicida reo confesso.
Un bacio alla mamma che dorme nel letto; il telefono spento lasciato sul comodino. L’auto di famiglia che non c’è più; un saluto in piena notte all’amico più stretto. Luca Priolo, il 24enne fermato a Milano 18 ore dopo l’omicidio dell’ex fidanzata Giordana Di Stefano – accoltellata selvaggiamente in una stradina periferica di Nicolosi - per gli investigatori aveva già scritto il suo piano di morte.