“La cosa peggiore è che ho avuto un ictus: dovevo proprio non sbattere la testa, e i pugni maggiori li ho ricevuti in testa. Per questo sono incazzato, perché (gli aggressori, ndr) non conoscono le condizioni delle persone. Mirare alla testa significa volutamente mirare a fare male a una persona”. A parlare è un uomo di 45 anni, Roberto, la cui colpa è quella di essere omosessuale. Una colpa molto grave nel ridente Comune di Mascali (siamo in provincia di Catania), se è vero che 24 ore fa è stato avvicinato da un branco di ragazzi in un bar; massacrato di botte e ferito con una lama che gli è arrivata al cranio.
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Se pensate che qualcuno si sia messo in mezzo per difenderlo vi sbagliate; se pensate che gli aggressori si siano convertiti dopo aver dato vita a una scena da arancia meccanica, sbagliate nuovamente. Roberto – che poche ore dopo l’aggressione ha rilasciato una lunga intervista esclusiva alla nostra emittente – è stato abbandonato da tutti in una pozza di sangue. E’ scappato da solo verso la caserma dei carabinieri per denunciare i suoi aggressori e solo allora è stato trasportato in ospedale con l’ambulanza. Il suo coraggio, che ha portato all’arresto di tre persone, però gli costa caro. Gli costa il fiato sul collo di chi vuole spingerlo a ritirare le accuse; di chi lo tartassa di telefonate anonime e avvertimenti. Gli costa, suo malgrado, la libertà.
Sembra quasi assurdo dover raccontare che nel 2015 un uomo possa essere massacrato solo perché non vuole fingere di essere ciò che non è. Eppure accade: e purtroppo nel silenzio paraculo (quello sì) del popolino mediocre che si schiera dalla parte del criminale, dell’aggressore. Ammiro Roberto perché non scappa. In tutta questa storia, il vero uomo è lui.