Quindicimila euro “per stare tranquillo”, e “se viene qualcuno – altri pretendenti al pizzo (ndr) – ti fazzu passare un piaciri na ‘sti macchie d’ulivo”. Filadelfo Carpagnano, pregiudicato di rango e per gli inquirenti vicino ai boss del clan Nardo (e quindi ai Santapaola), rassicurava così i “clienti” della zona di Lentini, nel Siracusano.
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Tu paghi quindicimila euro in tre comode rate da cinquemila, e la tua attività sarà garantita. Una promessa mafiosa difficile da digerire per un imprenditore della zona, che dopo essere stato avvicinato la prima volta nel suo cantiere in costruzione ha deciso di raccontare tutto ai carabinieri del reparto operativo di Catania. Da quel momento, l’ufficio prefabbricato all’interno dell’azienda è diventato un piccolo “Grande Fratello”: una fotografia chiara e vergognosa del “metodo siciliano” che da decenni uccide l’imprenditoria sana nella nostra isola. Si parte dal presupposto che l’estorsore non è il cancro da estirpare, ma il salvatore dalle altre insidie. “A Catania non so come si usa, ma qui si usa così”, racconta Carpagnano alla sua vittima. “Se hai bisogno, ti dico io come rintracciarmi e in due minuti ti fazzu passari tutti i piaceri do munnu”. Poi intasca la “rata” dell’ “assicurazione” e va via, ma la sua corsa finisce pochi metri dopo aver imboccato il vialetto d’uscita del terreno, dove ad attenderlo ci sono i carabinieri e le manette.
Per ogni imprenditore che collabora, ci sono – purtroppo – altri cento ancora soggetti alla logica del silenzio “per stare in pace”. E’ questione di cultura, in Sicilia. Quella alla legalità è ferma alle scuole serali.