Probabilmente, dalle parti del palazzo di cemento di Librino (per chi non è catanese, stiamo parlando di un polo importante di spaccio di droga e altri brutti affari) qualcuno non sarà di buon umore; qualcun altro starà facendo i bagagli o chiedendo “ospitalità” ad amici influenti.
Dai cento passi ai cento anni del boss: l’indole mafiosa di Cinisi, nel Palermitano, è longeva al pari del ‘padrino’ di Cosa Nostra Procopio Di Maggio, che per festeggiare il secolo di vita non ha lesinato quanto a spese e sfarzi.
Nemmeno una settimana fa, il ministro dell’Interno Angelino Alfano – a margine di un’operazione antimafia a Bagheria - sosteneva: “La mafia non è ancora morta, è in ginocchio. Stiamo vincendo”.
L’ultima volta che mi sono occupato di Nuccio Mazzei, boss da poche ore non più latitante della famiglia catanese dei ‘carcagnusi’, la sua assenza pesava come un macigno tra i nomi degli arrestati nell’operazione ‘Scarface’.
Qualche giorno fa mi è capitato di leggere una delle tante frasi riportate sugli striscioni in memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Recitava pressappoco così: “Volevate seppellirci ma non sapevate che eravamo semi”.