Slogan e striscioni a Palermo per la grande (doppia) protesta sindacale: da un lato la Fiom, dall’altra gli studenti. Trovarsi imbottigliati per quasi mezz’ora nell’occhio del ciclone offre spunti di riflessione di non poco conto.
“Perché protestate?”, chiedo a un quindicenne con la maglietta griffata che agita la folla a suon di slogan da spot tv. “Protestiamo perché bisogna farci sentire, qui va tutto male!”, è la sua risposta. “Ma cosa volete cambiare, di preciso?”, ribatto. “Non posso stare qui a dilungarmi, devo animare il corteo”, conclude l’adolescente prima di svignarsela.
L’impressione che ho avuto è la stessa che provo quando sento certi politici blaterare in TV di cose che non conoscono; un po’ come il ricco sfondato che ti parla del dramma povertà. Il problema, in Italia, è che siamo abituati alle scuse. Ci basta l’apparenza, l’inganno, l’estetica, non la preparazione e gli ideali. Lo stanno imparando bene le nuove generazioni. I politici del domani col DNA da tronisti.
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Malattia e sofferenza si tramutano sempre più spesso in un circo mediatico. Come si chiama il medico siciliano contagiato dal virus ebola mentre era in missione in Sierra Leone? Cosa ne pensa la moglie? Che ricordo ne ha il vicino di casa o il collega di lavoro? Tutto è ridotto a un grande Truman show; a un reality spregiudicato che non tiene conto minimamente dei gravi e veri problemi che vivono le persone.
Per colpa di chi, direbbe Zucchero. Per colpa di tutti. Dei giornalisti che puntano solo allo scoop morboso, e dei lettori che chiedono, comprano e seguono questo tipo di notizie. Un circolo vizioso, insomma, sulla pelle del malcapitato di turno.
Un tiro al bersaglio senza ritegno, irrispettoso, farcito spesso e volentieri da pillole di allarmismo esasperato. Basterebbe snocciolare due dati statistici per capire che l’ebola fa meno morti dell’alcool e delle sigarette; ed è una epidemia circoscritta e monitorata. Il virus della morbosità, quello si che è difficile da estirpare.
In più di dieci anni di cronaca ti abitui a tutto: sangue, atrocità, assurdità. Quello a cui non potrai mai abituarti è la vista di un neonato morto, innocente. Lì non c’è pelo sullo stomaco che tenga; c’è solo angoscia e disgusto.
A Palermo, ieri, una donna di 33 anni ha deciso di sbarazzarsi della figlioletta appena nata, gettandola in un cassonetto dell’immondizia. Con gli investigatori si è giustificata dicendo che “non respirava più” e quindi se n’è disfatta. Follia a parte - e l’auspicio di un lunghissimo periodo in strutture protette per chi ha compiuto un crimine simile - mi chiedo cosa stia succedendo alla nostra società. Una società che si scaglia sempre di più contro i piccoli; contro le donne; contro chi appare più fragile e indifeso.
Un cortocircuito dei vigliacchi; un modo per scaricare le frustrazioni o solo un virus invisibile che semina pazzia in un mondo che ha perso ormai la bussola. C’è da sperare solo in una inversione di tendenza; in una presa di coscienza o in un miracolo. Perché questo non è il mondo che vorrei consegnare un giorno a mio figlio.
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