Gli ultimi istanti di vita di un essere umano, sia esso conosciuto dal grande pubblico o meno, dovrebbero rimanere privati. E’ una regola fondamentale che vale per qualsiasi persona dotata di buon senso, e ancor di più dovrebbe valere per la categoria dei giornalisti.
In realtà noto con maggiore sgomento che le carte deontologiche – se non bastasse l’umana compassione – vengono utilizzate da certi colleghi al pari della carta igienica. Lo spettacolo rivoltante della mercificazione su telegiornali e siti web degli ultimi istanti di vita del cantante Mango è solo l’ultimo tassello di un bestiario senza fine. Qui non si parla di giornalisti, ma di bestie da audience; sciacalli dell’informazione; corvi pronti a gracchiare su ogni tragedia umana.
Li abbiamo visti all’opera un po’ dovunque: al capezzale di Yara; tra le pieghe oscure della vita di Elena Ceste; infilati come ladri nelle case e nelle vite degli abitanti di Santa Croce Camerina, dove è stato ammazzato il piccolo Loris Stival. Quando sono messi di fronte alla meschinità delle loro azioni, tirano in ballo il diritto di cronaca, ma non si sognano per un istante di immedesimarsi nel dolore delle famiglie, nelle loro fragilità, nella disperazione di chi ha perso tutto ciò che amava. Se lo facessero, probabilmente tornerebbero umani. Sempre che lo siano mai stati.