La furia scende in strada con il pretesto del calcio, delle squadre e del credo sportivo. Ma in realtà negli scontri tra ‘ultrà’ (domenica scorsa l’ultima vergogna a Palermo) c’è solo voglia di combattere una guerra contro qualcuno, utilizzando le nostre strade, distogliendo i nostri poliziotti da compiti più importanti e rischiando di ferire gente che non ha nulla a che fare con i tafferugli partoriti dai peggiori esemplari della nostra società.
Non impariamo mai dai nostri errori, questa è la verità. Dopo gli scontri del Massimino del 2007, dopo la morte dell’ispettore Raciti e l’umiliazione globale della Sicilia, eccoci ancora a mostrare con orgoglio la nostra inadeguatezza, volgarità, brutalità. Parlo al plurale non a caso. Perché chi si prende la briga di fare una ‘rivoluzione violenta’, con la scusa della tifoseria, coinvolge tutti all’occhio di chi guarda quelle scene in tv o su internet.
Coinvolge me, che di calcio non capisco orgogliosamente un tubo, e voi, che magari sognate di andare allo stadio con vostro figlio senza prendervi una sassata in faccia. Il fatto è che in Sicilia, da sempre, un gruppo di pochi condiziona la vita di molti. Due volte su tre ce la prendiamo in quel posto.