Fino a un anno fa, prima della strage di Charlie Hebdo (escludendo gli attentati di Madrid nel lontano 2004), mai avremmo potuto pensare che l’Europa evoluta potesse diventare bersaglio di un attacco terroristico in grande stile.
Ci sbagliavamo allora, ma da quella terribile esperienza pensavamo di aver capito la lezione contro i terroristi. A quanto pare non è così, perché dopo è stato il turno degli innocenti del Bataclan e adesso delle vittime di Bruxelles. L’attacco è chiaramente rivolto all’Europa come istituzione e come simbolo, e chi agisce è evidentemente molto bravo ad eludere i controlli. L’aspetto gravissimo della vicenda è che non c’è una linea comune di azione contro chi semina il terrore, e spesso con la scusa perbenista dell’integrazione senza condizioni si lascia più di un fianco scoperto. A Bruxelles ci sono interi quartieri in cui le sacche di fondamentalismo diffondono il loro odio; quartieri quasi intoccabili dalle forze dell’ordine in cui è facile organizzare una guerra santa in nome di Allah.
È successo ieri; è successo qualche mese prima in Francia. Potrebbe succedere anche in Italia, dove si susseguono gli allarmi di 007 e della Nato su possibili infiltrazioni di fondamentalisti camuffati da migranti. A ogni video dell’orrore giuriamo che sarà l’ultimo, e intanto sui nostri profili social cambiano le bandierine per commemorare i morti di quella o quell’altra nazione. A pochi isolati da noi, magari, qualcuno se la ride.