Sembra un copione sempre identico, quello che va in scena ogni anno quando cala il sipario sulla festa della Patrona catanese; la terza festa più importante al mondo che qualcuno vorrebbe far diventare patrimonio Unesco.
Tutto assolutamente lodevole, almeno se ci limitiamo a guardare le immagini suggestive dei devoti e della processione senza allargare il campo alla solita rete di abusi, illegalità e prepotenza. Non vi nascondo di essere rimasto stordito dalle dichiarazioni del sindaco Enzo Bianco che, intervistato nel corso di una diretta televisiva, si è detto soddisfatto per l’ordine e il rispetto delle regole dimostrato dai catanesi. A quanto pare non ha preso nemmeno lui sul serio l’ordinanza che vietava l’accensione dei ceri votivi per strada, tanto è vero che chiunque ha fatto i comodi suoi e la cera squagliata ce la piangeremo per giorni, nella speranza di non scivolare.
E sempre Bianco non si sarà reso conto delle bancarelle di abusivi che nei giorni di festa hanno colonizzato strade e piazze, vendendo di tutto (dalla semenza alla carne di cavallo) in barba a qualsiasi norma di igiene, tanto da sentirmi solidale con quei poveri disgraziati dei ristoratori, ai quali fioccano multe a gogo anche per un tavolino fuori posto, figuriamoci per la mancata tracciabilità degli alimenti. Ma la festa di Sant’Agata, si sa, lava da ogni colpa e purifica da ogni peccato: l’abusivo deve mangiare; il venditore di cera pure; i fuochi del Borgo tra qualche anno li spareranno a mezzogiorno del 6 febbraio. Finché c’è business c’è speranza. Perché in fondo siamo tutti devoti tutti: bisogna capire a chi, o a che cosa.