Non vi nascondo di essere rimasto disgustato nell’apprendere le modalità con le quali un gruppo mafioso legato al clan Santapaola Ercolano era solito “convincere” gli imprenditori a pagare il pizzo.
Sono ben lontani i tempi in cui bastavano le minacce dei picciotti per costringere le vittime designate a sganciare la somma settimanale per la protezione. Adesso c’è chi non si fa scrupoli a utilizzare le maniere forti, come i pestaggi a sangue in piena regola, con tanto di bacino fratturato, per imporre un dominio fatto solo di prepotenza. Ieri, a Belpasso, la tragedia umana di un imprenditore si è trasformata in speranza. Abbiamo appreso dell’arresto di un criminale – peraltro da poco uscito dal carcere dopo 26 anni scontati per omicidio – che insieme al suo gruppo legato ai ‘Malpassoti’ seminava il panico nella zona pedemontana della provincia di Catania. Abbiamo appreso ancora una volta che non è stata la vittima a denunciare, ma la bravura dei carabinieri a far emergere il gioco sporco degli estorsori.
Mi sforzo di comprendere il perché del silenzio che spinge le vittime a tacere, anche quando vengono umiliate dalla prepotenza mafiosa. Probabilmente così facendo credono di difendere la propria famiglia e i propri figli. Ma forse non pensano che nella migliore (o peggiore) delle ipotesi, lasceranno in eredità solo debiti e paura a quelli che si illudono di proteggere.