Ci sono due P che non dovrebbero mai essere accomunate: la “p” di pedofilia e quella di prescrizione. Quando questo fenomeno accade, è la società civile a rimanere sconfitta.
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Il caso di specie riguarda un sacerdote, Don Carlo Chiarenza, ex parroco di Acireale, finito nell’occhio del ciclone dopo la denuncia di un suo parrocchiano che ha deciso di registrarlo di nascosto per fargli confessare gli abusi da lui subiti nel lontano 1989, quando aveva 14 anni. Il contenuto di quel nastro è finito sia nelle mani della procura di Catania che in quelle della Congregazione per la Dottrina della Fede, con la differenza che il tribunale ecclesiastico ha condannato don Carlo in primo grado, mentre la giustizia italiana si è dovuta arrendere di fronte alla legge. E’ di ieri infatti la notizia che i magistrati hanno chiesto al Gip l’archiviazione del fascicolo.
I pubblici ministeri ritengono – cito testualmente – che “le dichiarazioni raccolte siano dettagliate, coerenti e circostanziate, anche se l’inchiesta è evidentemente pregiudicata dall’istituto della prescrizione”. Tradotto in soldoni, ci sarebbero tutte le prove della colpevolezza; c’è un video chiaro e limpido che racconta orrore e soprusi, ma ormai sono passati più di vent’anni, termine massimo previsto dalla legge per punire questo tipo di reato. Il caso è chiuso senza essere aperto. Un solo assolto, un popolo sconfitto.