Una piovra attanagliata al collo e al portafogli, quella che ha lentamente distrutto la vita e la serenità di un imprenditore palermitano e poi, una volta morto lui, quella di suo figlio. E’ la storia di due tra le 36 vittime che hanno deciso di alzare la testa contro le cosche di Bagheria. Una storia finita tra le carte dei carabinieri, nei mesi che hanno preceduto il blitz di ieri a Palermo. Una storia cominciata ai tempi delle lire con la pretesa di due milioni, divenuti presto due milioni di euro: cifra imposta dai clan per la cessione all’imprenditore di una parte di attività, di fatto già sua.
Basta leggere i racconti contenuti nell’inchiesta Reset2 per capire quanto manchi l’ossigeno in Sicilia. Quanto la paura, e in alcuni casi l’iniziale complicità per ottenere facilmente appalti e commesse grazie ai metodi “coppola e lupara”, abbiano rappresentato nel tempo per gli imprenditori un cappio al collo sempre più stretto.
Prima i soldi, poi le assunzioni di amici di amici; poi la pretesa di cedere tutto, compresa la casa. Così i ricchi diventano poveri e la “famigghia”, quella con due “g” e la “acca” ingrassa. Ci sono voluti trent’anni per alzare la testa, ma nella terra dove un capo mandamento, un capo decina, un punciùtu e un soldato per molti hanno più autorità del Papa, non è certo impresa da poco. E speriamo che l’opera di coraggio non si fermi qui.