Un volo di trenta metri; nessun urlo, nessun sospetto ma tanti – troppi – punti oscuri. La catanese Irene Lambusta, 30 anni, è morta venerdì scorso a Milano (città nella quale si era trasferita da qualche anno per lavoro), precipitando dall’undicesimo piano del palazzo al civico 44 di Viale Papiniano in cui abitava.
Peccato però che l’appartamento che aveva preso in affitto si trovasse al primo piano. Peccato che tutto sia stato liquidato come un tragico incidente; come conseguenza di una serata a base di ancora non precisati e non confermati eccessi. Di sicuro c’è che la ragazza era uscita con alcuni amici dopo aver trascorso con loro alcune ore in casa. Intorno alle 4 del mattino è ritornata in taxi, accompagnata da un amico che però – così ha dichiarato ai carabinieri – non sarebbe salito con lei. Dalle certezze si passa quindi alle ricostruzioni. La 30enne avrebbe scambiato il pulsante “1” con l’”11” e non si sarebbe accorta del tempo trascorso in ascensore. Avrebbe tentato di aprire una porta che non era la sua e per questo si sarebbe decisa a scavalcare una ringhiera, precipitando nel vuoto. Tra gli elementi raccolti dagli investigatori, ci sarebbe la testimonianza di un’inquilina dell’undicesimo piano dello stabile, “svegliata” dallo sferragliare della sua serratura. La donna, che sostiene di aver chiamato i carabinieri per paura che si trattasse di un ladro, si sarebbe successivamente riaddormentata.
Irene Lambusta viene ritrovata morta alle 4.30. Sulla ringhiera dell’undicesimo piano ci sono le sue impronte, così come sulla porta che lei potrebbe aver creduto la sua. Per i magistrati milanesi il caso è chiuso, se è vero che hanno ordinato la riconsegna del corpo ai familiari senza bisogno di autopsia. Incidente. Si parla di incidente senza colpevoli e si esclude il suicidio. Nessuno vuole controllare i flussi del cellulare della vittima; nessuno vuole capire cosa scorresse nel suo sangue al momento della morte. Nessuno vuole verificare i filmati delle telecamere di sorveglianza della zona. Il responso implicito è chiaro: Irene era così tanto ubriaca da non capire nulla, fino a sfracellarsi al suolo. A quanto pare Irene non era figlia di “qualcuno” per cui valesse la pena scomodarsi. Perché la ricerca della verità, talvolta, passa prima dal pedigree.