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tegola su Mario Ciancio

Mettiamo subito in chiaro che non mi stupisce per nulla se un imprenditore ricchissimo (che si chiami Mario Ciancio o pinco pallino), prima o poi finisce incastrato tra le maglie della giustizia. Non mi scandalizza che siano sequestrati soldi all’estero e nemmeno che questi soldi puzzino, a detta della Procura, dell’odoraccio di mafia in giacca e cravatta.

Mi dà invece molto fastidio che da un lato saltino fuori milioni e milioni di euro rimbalzati da un paradiso fiscale all’altro, mentre nella ridente Catania del monopolio giornalistico in tre anni – causa crisi – siano state fatte fuori una sessantina di persone. Molte di queste persone le conoscevo bene: padri di famiglia, ottimi lavoratori, bravi giornalisti e tecnici. Liquidati con un calcione nel sedere e senza appello dalla stessa proprietà che dice di non aver soldi per pagare gli stipendi. La stessa proprietà che negli anni ha comprato tutti i concorrenti, li ha uniformati, li ha addirittura accorpati, ora li smantella.

Una proprietà che ora è in affanno, mentre la Procura di Catania si è convinta a mettere insieme i tasselli di un puzzle impolverato, vecchio e oscuro quanto i cavalieri dell’apocalisse, e non sembra avere intenzione di mollare la presa. Questa città del resto ha il diritto di conoscere la verità; ha diritto di credere che nessuno sia immune dalla legge; ha il diritto di sperare nella ricostruzione, dopo la caduta di un impero.