E’ proprio vero che certe volte bisogna toccare il fondo per riscoprire il lato migliore di una città, di una comunità, di un popolo.
A Milano, pochi giorni dopo lo spettacolo indecente dei black bloc che hanno macchiato la protesta anti Expo, colpendo di fatto persone comuni e banche, non si è fatta attendere la risposta dei cittadini. Scope, spugne, barattoli di vernice: in tanti hanno deciso di scrostare i segni di uno stupro insensato alla propria città, prima ancora (e forse meglio) del Comune o della Regione. I volontari hanno umiliato i pagliacci incappucciati, e questo è un dato oggettivo non solo per l’aspetto morale, quanto per il risultato ottenuto. La protesta violenta degli antagonisti non è riuscita nell’intento di arrivare fino al Duomo; non ha bloccato l’inaugurazione e non fermerà Expo. Dunque, a parte suscitare nell’immediato un po’ di paura, si è rivelata un fallimento.
I volontari milanesi invece hanno stravinto: grandi e piccoli, imprenditori e operai sono scesi in strada dimostrando senso civico. Hanno abbattuto le barriere delle classi sociali e del colore della pelle. Qualcuno ha provato pure a riconquistare un briciolo di dignità perduta dopo gli strampalati proclami mediatici a favore delle azioni violente. Mattia Sangermano, lo studente-pirla (per citare Gad Lerner), tra una parolaccia e l’altra si è unito ai volenterosi. Forse un giorno capirà che l’anticapitalismo non consiste nel colpire un negozio o bruciare l’auto di un povero sventurato. Ma oggigiorno è più facile tirare una molotov che leggere un libro di Gramsci. Del resto, quello che conta è raccontare con orgoglio le imprese rivoluzionarie ad amici e fidanzate, magari davanti a un panino di Mc Donald’s.