Ogni qual volta viene diffuso un video di violenza che immortala una persona fragile aggredita da bulli o bulletti di quartiere si scatena un caos simile alla rivoluzione. Ultimamente l’attenzione mediatica è tutta sulla ragazzina genovese aggredita a calci e pugni da una sedicenne. Effettivamente il filmato fa ribrezzo: sui principali siti di informazione, ma ancor di più su Facebook, è divenuto quasi impossibile non trovarsi di fronte quella sequenza di cattiverie e brutalità gratuita.
Atteggiamenti che urtano la sensibilità; comportamenti da condannare e dai quali trarre insegnamento, senza però oltrepassare i limiti del contegno. Già, perché se l’atto di chi picchia un indifeso è deprecabile, non da meno è una campagna di volgarità instillate tra le pieghe – spesso anonime – di internet.
Su una pagina creata appositamente per diffondere in chiaro il volto della picchiatrice non mancano commenti di siciliani dal fare mafioso e minacce di stranieri. Ci sono adulti e giovani in questa arena virtuale dove l’odio la fa da padrone. E io mi chiedo se sia giusto sostituirsi alla legge con i tribunali del popolo senza appello. E mi chiedo anche quale specchiata reputazione si celi dietro i migliaia di giudici che da dietro un monitor istigano alla vendetta violenta. Tra loro e la ragazzina manesca, per quanto mi riguarda, c’è poca differenza: entrambi i comportamenti sono sintomo di una grande sconfitta, consumata sotto i riflettori spietati del web.