Sgombriamo il campo dall’idea della banda di ladruncoli che puntano su commissione la vostra bella auto e poi la fanno scomparire per rivendere i pezzi o chiedervi un “riscatto”.
A Catania, almeno fino a ieri, il settore dei furti d’auto era praticamente gestito da un gruppo di 28 persone che fatturavano utili stellari; che avevano diviso i quartieri della città in zone di competenza e operavano come se fossero un centro ricambi, con l’aggravante delinquenziale. Si scrive “cavallo di ritorno”, si legge “estorsione”. E di estorsioni ne hanno documentate parecchie gli uomini della Squadra Mobile di Catania che la notte scorsa hanno chiuso il cerchio con arresti e avvisi in carcere.
Quello che fa specie, spulciando i dettagli dell’operazione, è leggere che alcune vittime dei furti siano passate dalla parte del torto coprendo i ladri-estortori. Hanno preferito pagare il pizzo per riavere la macchina, alimentando un mercato delinquenziale già in espansione. Magari non condividerete, ma è questo l’aspetto più irritante di tutta la vicenda: sembra che per un’ampia fetta di noi siciliani la connivenza con il “marcio” sia quasi una regola non scritta, e la fiducia nelle istituzioni un’eccezione. Aveva ragione Kennedy quando diceva che ogni società ha il tipo di criminali che si merita. Da noi, oltre ai criminali, il problema è la società.