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Roma devastata da ultras olandesi

Ero a Roma quando un’orda di pseudo tifosi invertebrati targati “Olanda” ha ucciso ciò che restava dello spirito sportivo per aggredire poliziotti; sfasciare vetrine e seminare panico.

Ma potrei anche fottermene dello spirito sportivo – al quale non credo più da anni –, se non fosse per la sacralità di una città che invece amo, e per il senso di abuso che nasce da qualsiasi violenza. Così, quando assisto a risse insensate a Campo de’ Fiori, innescate da protozoi ubriachi che sarebbero potuti rimanere nella loro terra a sfondarsi di canne e birre; quando sono costretto a vedere lo sfregio della barcaccia di Bernini, danneggiata e imbrattata come una discarica; quando percepisco il terrore negli occhi dei negozianti e lo sdegno sui volti dei turisti, sono tentato di rimpiangere le leggi dell’antica Sparta. E invece valgono le norme italiane; ultragarantiste e paracule. E invece la partita si gioca, con moltissimi di quegli ubriaconi invasati a fare il tifo non per lo sport, ma per grugnirsi addosso.

L’unico aspetto che parzialmente mi rincuora è la reazione vergognata dell’Ambasciata olandese: un atto di scomunica netto e umiliante, che raramente si registra sul piano internazionale. Ma le belle parole volano via, i danni restano. E forse è meglio non chiedersi chi pagherà il conto, per non sentire una risposta scontata. Per non sentire che toccherà a noi pulire, dopo che i porci hanno fatto festa.