Non voglio discutere più di tanto degli accertamenti che una Procura compie nei confronti di un indagato: sia esso un signor nessuno o un editore monopolista di successo, con lo sguardo furbo e i capelli ormai bianchi.
E preferisco non interessarmi troppo del fatto che si possa chiedere l’archiviazione per ipotesi di reato gravissime e infamanti (come il concorso esterno) in un determinato periodo storico, salvo poi correggere il tiro a seguito della richiesta – legittima – di un supplemento di indagini da parte di un Gip. Anche perché dovrei pormi subito dopo una domanda inevitabile: si è stati un po’ troppo sbadati prima, o eccessivamente zelanti dopo? Mistero della fede inquirente. Ma nell’inchiesta che coinvolge direttamente Mario Ciancio Sanfilippo c’è un punto, se vogliamo inedito, che cattura: quei quasi 53milioni di euro che, secondo i magistrati, sarebbero riconducibili all’editore de La Sicilia e che non sarebbero stati mai dichiarati al fisco. Nemmeno quando, a fronte di una piccola percentuale da pagare allo Stato, si sarebbero potuti tirare fuori dal cilindro elvetico senza scossoni, né terremoti.
Certo, 53milioni sono una bella somma; una somma impossibile da immaginare per noi comuni mortali. Ancora di più – se l’accusa venisse confermata – per i circa 40 dipendenti fatti fuori in questi anni dalle aziende televisive dell’Editore catanese, “causa crisi”. Una crisi nera, seconda solo a quella che ha colpito recentemente il segreto bancario.