E’ un copione che si ripete a cadenza regolare. Un nastro che si riavvolge e riparte: solo che i protagonisti sono sempre diversi, perché non si può morire due volte.
Un film dell’orrore, quello che racconta delle stragi del mare al largo delle coste siciliane. Un film meschino, perché sembra che nessuno, tra i tanti che pontificano nelle stanze dei bottoni, sia in grado di capire come evitare che trecento persone per volta vengano annientate nella speranza di oltrepassare il mediterraneo. Assistiamo quindi a un valzer goffo di tentativi politici dove non mancano i pestoni ai piedi. E così, se “Mare Nostrum” – operazione militare interforze di soccorso ai migranti, operativa fino a metà 2014 – è stata definita da qualcuno troppo dispendiosa in termini di uomini e mezzi, ora in tanti additano ‘Triton’, la sorella minore molto meno finanziata e con poteri di azione inferiori.
Ricapitolando: mentre loro, i politici, ‘sopra la panca’ piangono lacrime di coccodrillo, ‘sotto il mare’ la gente crepa. Non ci resta dunque che sperare nel lavoro delle procure siciliane, in testa Catania, che da ormai tre anni stanno mappando e indebolendo come possono le organizzazioni transnazionali responsabili delle traversate kamikaze. Un lavoro delicato, che si scontra con i limiti imposti dal diritto internazionale. Perché magari gli inquirenti sanno anche i nomi dei burattinai libici o egiziani, ma è difficile anche solo interrogarli senza l’autorizzazione dello Stato in cui risiedono. Autorizzazione che potrebbe non arrivare mai. E immaginate da soli il perché.