Tra i pochi ricordi che ho del periodo delle scuole elementari c’è quello di un bambino paffutello, col viso triste e la voce spesso rotta dal pianto. Piangeva e stava in disparte perché era diventato bersaglio di un gruppo di bulli della peggior specie: figli di papà arroganti, col viso pulito e la lingua lunga.
La sua ‘colpa’, motivo della gogna a cui veniva sottoposto, era quella di essere parecchio sovrappeso. Lo chiamavano “bombolo”, “cicciobomba”, “ponchione”, “lardone” e altri stupidi nomignoli del genere. Questo bombardamento continuo di insulti lo aveva portato a isolarsi; a non parlare con nessuno e fuggire in palestra durante la ricreazione per mangiare il suo panino, ogni giorno più farcito. Il suo incubo finì solo quando riuscì a parlare con i genitori, che a loro volta raccontarono tutto alle maestre. I buontemponi furono puniti in maniera esemplare: umiliati in pubblico al punto di smetterla una volta per tutte. Ieri sera ho guardato per caso Sanremo. Ho ascoltato il comico (ma giuro che non mi ha fatto ridere) Alessandro Siani deridere un bambino sovrappeso di 10 anni, su per giù.
Lo ha fatto in eurovisione, ma a quanto pare se n’è fottuto della potenza dei mezzi di comunicazione. In quel momento ho pensato ai bulletti della scuola, che facevano colpo sulle ragazzine deridendo l’anello debole del gruppo con facili battute infantili. Ho pensato al cattivo esempio trasmesso da Siani a migliaia di persone, soprattutto ai più piccoli. Ho pensato a quel bambino paffutello che a scuola veniva sfottuto da imbecilli della sua età. E ho capito che purtroppo l’imbecillità spesso è magra, strapagata, telegenica, e non ha età.