L’immagine emblematica dell’appena archiviata festa di Sant’Agata è quella di una signora che porta in spalla una enorme torcia realizzata interamente con fiori bianchi. E’ il simbolo di una devozione “alternativa” e intelligente che non snatura minimamente, a mio giudizio, un voto fatto e ricevuto.
Il “torcione floreale” però non è andato molto di moda e anche quest’anno è stata disattesa l’ordinanza del sindaco che limitava le accensioni dei ceri votivi solo in alcune aree delimitate. Tutte balle nei fatti, se è vero che le tante foto scattate dai fedeli testimoniano il ripetersi di una consuetudine storica, non ostacolata anche stavolta da nessuno, se non a parole. Diciamoci la verità: l’ordinanza sui ceri c’è ma nessuno, nemmeno il Comune, ha interesse a farla rispettare pienamente. Come giustamente fa notare il giovane politico catanese Matteo Iannitti, i ceri accesi campeggiano su tutti i manifesti che sponsorizzano la festa e sono una fortissima attrattiva per i visitatori che finanziano la processione con la tassa turistica.
Personalmente dico che la cera sulle strade rappresenti un pericolo, ma se bisogna prevenire realmente il pericolo, di certo la soluzione non è quella dei blandi spauracchi a parole. Detto questo non posso che rispondere alla mail di un ascoltatore, infuriato per non essere potuto andare a lavoro stamattina a causa dei tempi infiniti di rientro del fercolo. Caro Tindaro, non posso che darle ragione. Provi a chiedere a Sant’Agata una umana riduzione dei tempi di rientro: se le dovesse venire accordata me lo dica. Sono pronto ad accendere con lei un cero. Ma solo nelle aree delimitate.