Finiamola con la storia dell’informazione che supera tutti i limiti, compresi quelli della decenza e dell’umanità. Finiamola con la scusa dello sdoganamento di foto e video di qualsiasi barbarie compiuta da folli estremisti, pazzi kamikaze, esaltati dell’ultim’ora, in virtù di un non meglio precisato “dovere di informare”.
Questo sfogo nasce dall’ennesimo video brutale diffuso dall’Isis, che ritrae integralmente l’esecuzione di un pilota giordano, bruciato vivo dentro una gabbia e poi ricoperto di macerie. Una sequenza agghiacciante anche per chi è abituato alle atrocità, figuriamoci per i curiosi che incappano casualmente nel link postato da un qualsiasi sito di informazione italiano. Non ci sarebbe affatto bisogno di sottoporre al pubblico sequenze che disgustano e segnano le persone più sensibili; e nessuno si giustifichi con la foglia di fico dell’avviso che campeggia tre secondi prima di mandare in diretta la mattanza degli innocenti.
La verità, schietta e sincera, è che un titolo accattivante garantisce visite e click da monetizzare a fine mese con i proventi delle pubblicità. Quando non domina il fattore economico, i giornalisti si prostituiscono per raggranellare seguaci su twitter. E mentre crescono i follower, nessuno si chiede cosa provano i familiari delle vittime, che vedono morire cento, mille volte i propri cari. Uccisi prima dai tagliagole, e poi da una marchetta.
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