Il neo presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha capito bene su quale tasto battere per primo, pochi istanti dopo il suo giuramento. Parla di speranza, quando fuori dal palazzo di Montecitorio la pioggia non ferma giornalisti, curiosi e disperati col cartello al collo e le bollette da pagare.
Chiama tutti “concittadini” e in 30 minuti esatti incespica più volte tra un concetto e l’altro, perde un foglio e si scusa; tradisce un po’ di emozione. Ma, in fondo, forse è proprio la sua normalità a renderlo simpatico e umano. Ci sono alcuni concetti del suo primo discorso che restano impressi più di altri. Promette, ad esempio, di essere un arbitro imparziale ma chiede correttezza ai giocatori. Sottolinea che la crisi non può intaccare i diritti costituzionali; parla di scuola e di mafia. Di eroi, quelli veri, dell’antimafia. Anche chi non lo ha votato applaude: 42 interruzioni in totale.
Poi il cerimoniale prosegue, tra simbolismo e tradizione. Ma su via del Corso la gente, che ha seguito dagli smartphone la diretta, ricorda solo il primo concetto: speranza. Quella che ci tiene ancora in piedi, nonostante sia stata incrinata da cattivi esempi e scandali. La speranza che ci porta a reagire; che invoglia i giovani a non mollare, a non lasciare la propria terra e la propria identità. I giovani. Mattarella parla anche di loro, di quelli meritevoli e competenti. E sui social qualcuno spara una battuta al veleno: è bello quando non dimenticano le minoranze.
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