Notizie
Ascolta Radio Amore Ascolta Radio Amore I Migliori Anni Ascolta Radio Amore Blu Ascolta Radio Amore Dance Ascolta Radio Italia
Francesco Schettino

Ventisei anni e tre mesi di galera. Per i sostituti procuratori che rappresentano la pubblica accusa nel processo contro Francesco Schettino è questa la pena che il tribunale di Grosseto dovrebbe infliggergli per il naufragio del Costa Concordia, che costò la vita a 32 persone il 13 gennaio di tre anni fa.

Non voglio addentrarmi nei cavilli giuridici, e nemmeno fare una stima “a peso” per dirvi se secondo me è una richiesta troppo gravosa o lo è troppo poco. Mi limito a riflettere sul contorno della vicenda; sui toni molto televisivi dei magistrati nel corso della loro requisitoria. Per un istante ho pensato di assistere a un film americano, pieno di foga e frasi ad effetto. Come ad esempio il neologismo coniato dal sostituto procuratore Stefano Pizza, che definisce Schettino un “incauto idiota”, per poi concludere con un epico: “Dio abbia pietà di lui, noi non possiamo averne alcuna”.

Non ho ben capito se il “noi” fosse riferito alla categoria delle toghe o alla società civile. Ad ogni modo non vorrei che venisse confuso il termine “pietà” con quello dello “sconto”. Dal momento che nel nostro Paese non esiste più la pena di morte, non c’è da avere pietà ma da applicare la legge. E magari farlo sempre bene: sia quando un comandante indegno ammazza trenta persone e ne parlano i telegiornali, sia quando un drogato ubriaco travolge e uccide una famiglia. E non se lo fila nemmeno il gazzettino di borgata.

ad.spitaleri@gmail.com