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generazione zero euro

“Gentile direttore, mi sfogo con lei perché mi ritengo uno sconfitto. Ho 35 anni e ho perso il lavoro. Non perché non fossi bravo o volenteroso, né perché avanzassi chissà quali pretese. Tutti dicono di andarmene ma io non voglio scappare dalla mia terra”.

Comincia così la mail inviata da Giuseppe, un giovane laureato licenziato da poco, sfiduciato come tanti ma determinato nella convinzione di non voler lasciare l’Italia. Uno sfogo che merita pienamente questa riflessione perché non raccoglie la solita accozzaglia di insulti gridati, generici e populisti. E’ invece un manifesto di orgoglio italiano che parte da una presa di coscienza: il lavoratore precario è troppo poco tutelato in questo sistema dalla clausola facile e dalle cause del lavoro che durano dieci anni. In Italia si riempiono tutti la bocca di rinnovamento ma la disoccupazione giovanile è al 44,2%. Tradotto in pratica, quasi un giovane su due campa grazie a mamma e papà, quando anche loro non sono costretti ad appoggiarsi alla pensione dei nonni.

E’ fin troppo chiaro però che prima o poi questa stampella non ci sarà più, e la generazione “zero euro” si ritroverà sola, con il piattino in una mano e una spranga nell’altra. Io non so quanto convenga a un governo (di destra o sinistra che sia) giocare con una bomba a orologeria di questa portata. Perché un popolo, anche il più pigro e coglione, se gli togli tutto prima o poi scende in strada. E quando ha veramente fame, non basta Uomini e Donne a fermarlo.

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