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attentato via Palestro

Ascoltare certe dichiarazioni di pentiti fa venire davvero la pelle d’oca. Non solo per l’atrocità delle rivelazioni che fanno (a verificarle ci penserà la magistratura), quanto per il disprezzo assoluto che emerge dai progetti terroristici delle cosche verso cittadini innocenti.

Un piano dell’orrore, finora inedito, lo abbiamo sentito ieri dalla bocca di Giovanni Brusca, mandante ed esecutore della strage di Capaci, interrogato in qualità di teste al processo contro Marcello Tutino: basista della strage di via Palestro del luglio ’93. Quasi senza battere ciglio, Brusca ha spiegato che Cosa Nostra aveva deciso di disseminare migliaia di siringhe infette sulle spiagge di Rimini per scatenare i contagi di AIDS. Né più né meno che sganciare una bomba alla cieca: una strage a effetti ritardati contro grandi e bambini, indifferentemente. Lo scopo era quello di mettere in ginocchio lo Stato, spostando il mirino dai magistrati a persone comuni, monumenti e musei, per imporre la cosiddetta ‘trattativa’ Stato-mafia.

Progetti spaventosi, insomma. Alcuni riusciti, come i Georgofili e via Palestro; altri scongiurati, come quello alla torre di Pisa o la mattanza delle siringhe infette. Un quadro simile farebbe inorridire chiunque, eppure in Sicilia si fatica ad avere una vera identità antimafiosa. Lo si capisce dalle piccole cose. Per risolvere un litigio pesante spesso si minaccia il ricorso agli “amici che contano”, non alla polizia. In certi quartieri si cresce con il valore del “silenzio”, perché il nemico è lo sbirro. Ma le siringhe che volevano sparpagliare gli amici di Brusca in spiaggia non erano certo destinate agli sbirri. Per lo meno, non solo.