L'ultima volta che mi sono veramente stupito di qualcosa è stato appena un mese fa. In un talk show locale si parlava dell'occupazione che manca in Sicilia. Venivano intervistati tanti padri di famiglia, ex dipendenti Aligrup, precari e non solo. Lodevolissima iniziativa, se non fosse che quella azienda editoriale, per prima, di dipendenti ne ha liquidato una trentina in due anni.
Cito questo aneddoto solo perché riflette esattamente il modo di pensare siculo. È sempre colpa di qualcun altro: abbiamo il coraggio di fare la morale al vicino di casa rumoroso, ma non si lamenti nessuno se suoniamo la batteria alle tre di notte. Ovviamente vince sempre il più forte, e che nessuno si permetta di protestare. Così i deboli – quelli veri – restano zitti, e parlano solo i prevaricatori. In Sicilia si ragiona così, ma il problema non è solo l’ipocrisia dei furbacchioni, quanto l’accettazione quasi rassegnata da parte della massa. Una massa che vedo scendere in campo solo quando la squadra del cuore perde o c’è da esonerare un allenatore.
Con queste prospettive non so, sinceramente, che auguri fare per Natale. Potrei augurare alla Sicilia di restare nella sua beata incoscienza; di sfogarsi a suon di “piove governo ladro” senza muovere un dito, almeno fino a quando arriva la disoccupazione o c’è il nonno che paga le bollette. Oppure potrei augurarmi, augurarci, di reagire; di recuperare un briciolo di dignità perduta; di smettere di credere ai ciarlatani. Ma sarebbe troppo faticoso per un popolo abituato a prendersela comoda. Spesso da dietro.