Rischierò di essere impopolare quando dico che l’eccessiva apertura delle frontiere ai migranti rappresenti un rischio concreto per i Paesi ospitanti.
Sia chiaro: in questi anni ho visto e raccontato storie di autentica disperazione, di schiavitù e fuga da guerre ingiuste. In questo caso l’accoglienza è sacrosanta: simbolo di umanità tra popoli. Ma è anche vero che i cosiddetti “barconi della speranza” sono spesso e volentieri un canale privilegiato per la fuga di pericolosi assassini nordafricani, criminali dei gruppi che organizzano le traversate, e – forse ciò che più ci preoccupa – presunti simpatizzanti dell’Isis. Di certa c’è che un’inchiesta aperta dalla Procura di Palermo che vede già cinque indagati: due libici, due siriani e un egiziano. Clandestini che tenevano sui cellulari foto in cui sono ritratti con fucili e in assetto da guerra. Ma c’è di più: i servizi segreti in questi mesi avrebbero monitorato i loro spostamenti in cerca di depositi di armi.
L’Isis in Sicilia potrebbe dunque non essere solo uno slogan da consegnare ai partiti come la Lega di Salvini. Così come gli immigrati non sono tutti pericolosi o criminali. In mezzo c’è un grande lavoro delle forze dell’ordine e delle tante cooperative che si battono quotidianamente (spesso senza stipendio) per garantire un’integrazione possibile, allontanando le frontiere dell’odio. Da una parte, e dall’altra.