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Doveva forse arrivare una sentenza della Corte d’Appello di Roma per riaccendere i riflettori sulle preoccupanti statistiche nell’area siciliana del cosiddetto “triangolo della morte”: Priolo Gargallo, Melilli, Augusta, dove gli stabilimenti industriali sono sospettati di contribuire in maniera esponenziale all’altissimo tasso di mortalità per tumori.

Il Tribunale romano, chiamato a decidere sulla concessione di una rendita per gli eredi di un operaio siracusano a carico dell’Inail, ha fatto in realtà molto di più. Tra le righe della sentenza ha riconosciuto in modo chiaro e netto che “l’esposizione all’amianto ha riguardato tutti i lavoratori del petrolchimico di Priolo Gargallo e tutti gli abitanti della zona”. Chi per decenni ha finto di non sentire, di non vedere e non capire, adesso dovrà necessariamente svegliarsi dal suo torpore. Magari qualcuno si degnerà di dare credito alle parole di don Palmiro Prisutto, il prete augustano che da solo ha sfidato le lobby, sbattendo in faccia a tutti, ogni settimana, i nomi dei morti ammazzati dal cancro.

Magari si eviterà di associare al “caso” un’incidenza tumorale che supera del 10% la media nazionale, così come il numero dei bambini dati alla luce con malformazioni. È una questione di coscienza, oltre che un’emergenza sociale: perché il sonno della ragione genera mostri, al pari dei morti causati dall’amianto delle industrie.



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