Dopo anni di nebbia e fango sull’omicidio dell’avvocato penalista Enzo Fragalà, dopo aver sentito tesi controverse e persino la solita storiaccia delle avances alla moglie di un detenuto, finalmente sembra essere caduto il velo su quello che la procura palermitana definisce un vero e proprio delitto di mafia.
La mafia che spesso gli avvocati sono tenuti a difendere, sottostando magari a certe regole, si è rivoltata contro un avvocato che giocava pulito. Ha ordinato il massacro di un professionista che, rispetto alla legge dell’assoluta sottomissione alle cosche, prospettava ai suoi assistiti la possibilità di assumere un atteggiamento collaborativo con la magistratura. Il segnale, dunque, doveva essere lanciato punendo Fragalà e nel frattempo avvertendo tutta la categoria forense.
Onorare la toga significa rimanere coerenti ai propri princìpi: c’è chi per difendere la mafia diventa mafioso a sua volta, e chi difende il diritto di un mafioso che ha sbagliato a scegliere un’altra strada. Chi rischia di meno, chiaramente, è l’avvocato che non vede e non sente.