Non ho mai amato l’indignazione a scoppio ritardato. Non apprezzo gli impavidi solo sui social, gli indignati a comando, i puristi a due velocità. Eppure ogni giorno, quel coraggio ostentato al calduccio di casa e dietro un monitor, si dissolve al contatto con la realtà del mondo.
Basta fare un giro in centro per accorgersi delle piccole grandi prevaricazioni: i bulletti sugli autobus, le ragazze molestate per strada, i più deboli bersaglio dei più forti. Tutto intorno, un popolo intento a farsi i fatti propri. Non siamo tenuti ad essere condottieri, è vero, ma almeno non fingiamo di essere ciò che non siamo. Il monito, chiaramente, vale anche per chi scrive. È capitato anche a me di modificare un pezzo già scritto. Non so dirvi se pesa di più il rimorso o il rimpianto, ma i giornalisti rischiano di pagare conti salatissimi, e di tasca propria, talvolta anche quando raccontano la verità.
E quindi non vi nascondo che avrei voluto parlarvi di altro oggi. Avrei voluto interrogarmi su strane vicende processuali, su fascicoli spariti al tribunale di Catania e presunte vittime che accusano presunti giustizieri. Roba noiosa. Magari ne parliamo un’altra volta.