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Non so se vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, ma l’apertura del premier Renzi sulla costruzione del ponte sullo stretto di Messina potrebbe avere anche i suoi risvolti positivi. Posti di lavoro; Italia e Sicilia finalmente unite da qualcosa di concreto, e via dicendo. Certo, ci sono anche i punti interrogativi.

Il primo nasce dalle spaventose carenze strutturali che attanagliano il sud del Belpaese, e che probabilmente richiederebbero un intervento corposo ben prima di pensare a un’opera titanica come il Ponte. Il secondo è figlio di una consapevolezza antica: quella che la piovra cercherebbe in ogni modo di non farsi sfuggire un giro di appalti da centinaia di milioni di euro. Condivido però, a questo proposito, l’opinione del presidente dell’Autorità Anticorruzione Cantone, quando dice che non si può giustificare il non fare grandi opere solo per il rischio corruzione o infiltrazione mafiosa.

Sarebbe deprimente pensare che la Sicilia debba pagare con l’arretratezza cronica il vaccino dalle mire delle cosche. La storia del resto ci insegna che la mafia si nutre di grandi e piccoli affari: è compito dello Stato sterilizzare i rischi. Possibilmente offrendo al Sud un’opportunità per uscire dall’età della pietra.



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