Si sono accorti improvvisamente che dietro gli affari miliardari del nord Italia, Expo è un esempio, non ci sono solo le mire della ‘ndrangheta ma anche di Cosa Nostra. Apprendiamo il dato con finto stupore, dal momento che già in passato i segnali di interesse delle cosche siciliane nei confronti degli affari dai nove zeri in su erano sembrati evidenti.
Certo, l’indagine sugli appalti pilotati per la realizzazione di alcuni padiglioni a Expo 2015 ci offre un quadro maggiormente nitido, con i soliti squallidi inciuci tra la cosca di turno (in questo caso la famiglia di Pietraperzia, nell’Ennese), un avvocato di fiducia e tanti buoni fiancheggiatori. Schemi visti e rivisti qui in Sicilia, dove siamo maestri nell’arte della mafia, nei fondi neri e nelle finte fatturazioni ma iniziano a mancare gli affari grossi.
Come predatori in cerca di cibo, le famiglie mafiose puntano a territori ancora inesplorati e ricchi di materia prima. I magistrati milanesi, dunque, mettano da parte lo stupore e inizino a fare i conti col dialetto siciliano. E tutte le sue declinazioni.
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