Sono del parere che se un gruppo imprenditoriale riesce nell'intento di smantellare un prodotto di informazione storico e solido come il TG di Antenna Sicilia, la responsabilità sia di una pluralità di soggetti, più o meno imboscati, più o meno tolleranti.
Inutile girarci intorno: lo sgretolamento a medio termine di Antenna è iniziato nel 2012, quando - all'indomani del passaggio al digitale terrestre - sono scattati i primi licenziamenti. Decine di lavoratori scaricati con un "arrivederci e grazie", da Antenna come da Telecolor e successivamente Telejonica, e nessuno che si sia chiesto se il tempismo nel dichiarare la crisi solo dopo aver fatto incetta di canali non fosse quantomeno curioso. Nessuno appartenente al mondo istituzionale, sia chiaro, perché invece i sindacati in quell’occasione si sono mossi molto in fretta. Con due lettere, inviate rispettivamente al Corecom Sicilia e al Ministero dello Sviluppo Economico, CGIL e CISL hanno chiesto un intervento per capire in che modo sia compatibile la crisi di un’azienda che invece, per ottenere le frequenze e un posizionamento d’oro sul telecomando, ha dovuto farsi forte del numero degli assunti e del capitale.
Purtroppo non è mai arrivata una risposta ufficiale. Nel frattempo le aziende hanno continuato a licenziare e, a breve, gli ultimi 16 colleghi rimasti ad Antenna saranno mandati a casa. Fonti qualificate sono convinte però che ci sia già un accordo per garantire l’informazione tagliando sui costi, cioè comprando i telegiornali “a pacchetti” da fornitori esterni. Anche questa volta chi muove i bottoni farà finta di nulla? Anche questa volta le paure e i sospetti dei sindacati resteranno relegati nelle raccomandate gettate in qualche cassetto? Voglio sperare di no. Perché, in questo caso, il silenzio delle Istituzioni sarebbe più eloquente di qualsiasi altra risposta.