L'ostentazione dei soldi non è un reato, e purtroppo non lo è nemmeno l'utilizzo di un rude riferimento alla mafia per attirare l'attenzione del pubblico sulla pacchianissima festa di battesimo di un bambino innocente.
Lui non sa perché i genitori (papà "Ciccio Ninfa" è una vecchia conoscenza per gli investigatori) lo abbiano fatto fotografare con la coppola siciliana e il gilet, e non sa cosa significhi la frase "cosa nostra" stampata su decine di manifesti 6x3. Non gli importa che alla "sua" festa, in un lussuoso locale della frazione San Leonardello di Giarre, si esibiranno cantanti neomelodici e meteore della tv nazionale. Fortunatamente non sa neanche chi sia la favolosa cubista e perché si conci come un extraterrestre trasgressivo/progressivo. A ben pensare, il piccolo è solo il pretesto per uno spettacolo.
Più che cosa sua, la festa è cosa loro: dei genitori, dei 400 ospiti, della triste èlite pronta a godere del clamore mediatico che una frase indecente suscita nella terra di coppola, sangue e lupara. Bene o male purché se ne parli; purché si scriva che ci sarà una radio a trasmettere tutto in diretta e qualcuno pronto a filmare l'evento. E vadano a quel paese i "benpensanti" che hanno frainteso, racconta al telefono a una collega il padre del bambino (indagato in passato per associazione mafiosa, tentato omicidio, rapina e spaccio). Lo slogan, dice, è solo una battuta. Il buongusto non è stato invitato alla festa.